Epilessia temporale mediale e alterazione
di neurogenesi e gliogenesi
ROBERTO
COLONNA
NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 23 aprile
2022.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La patologia epilettica o comiziale - come la
chiamavano gli antichi perché nei grandi comizi c’era spesso qualcuno colto da
un attacco di “mal caduco”, ossia di grande male epilettico con crisi tonico-clonica
che comportava la caduta seguita dalle fasi tipiche della crisi - fa registrare
in molti paesi occidentali un incremento annuo di 44 nuovi casi ogni 100.000
abitanti. Negli USA, gli studi epidemiologici di Hauser e colleghi indicano
circa 2 milioni di persone affette in tutto il paese, con una stima di
probabilità di poco inferiore all’1% che una persona possa avere una crisi
epilettica entro l’età di 20 anni (Hauser & Annegers)[1]. Oltre
due terzi di tutte le forme di epilessia ha inizio in età pediatrica e la
maggior parte nel primo anno di vita; infatti, in neurologia pediatrica è
considerata tra i disturbi più frequenti e la cronicità delle forme infantili
aggiunge rilievo clinico alle manifestazioni in questa fascia di età. Dopo i 60
anni l’incidenza cresce nuovamente, con una significativa proporzione di forme
secondarie.
Questi dati epidemiologici rendono conto delle
dimensioni cliniche del problema, che include manifestazioni differenti per
sintomi (forme convulsive o non-convulsive)[2], per
estensione (focali o generalizzate), per origine (primarie o secondarie), per
frequenza (isolate, cicliche, ripetitive o continue nello stato epilettico), ma
tutte accomunate dalle alterazioni elettriche di neuroni cerebrali, in un certo
senso intuite già nel 1870 da Hughlings Jackson, che attribuiva le crisi ad “eccessiva
e disordinata scarica del tessuto nervoso cerebrale sui muscoli”[3].
Gli studi recenti sull’uomo indicano l’ippocampo
quale sede più comune di foci epilettici per quelle forme dette appunto focali
e, in passato, definite “crisi parziali”, in contrapposizione alle due forme
generalizzate più comuni, ossia la crisi convulsiva di grande male
epilettico e l’assenza o petit mal o piccolo male epilettico,
consistente nella breve interruzione di coscienza.
I foci epilettici ippocampali nei modelli
murini della malattia sperimentale hanno un elemento critico nella neurogenesi
aberrante, che sembra causare l’avvio e la progressione dell’epilessia; ma
non è noto se anche nell’uomo vi sia il ruolo causale di un’alterata produzione
di nuovi neuroni nel cervello adulto. Aswathy Ammothumkandy e colleghi hanno
indagato proprio questa possibilità, ottenendo risultati interessanti che attraggono
l’attenzione anche sui processi di gliogenesi post-embrionaria.
(Ammothumkandy
A., et al. Altered adult neurogenesis and gliogenesis in patients
with mesial temporal lobe epilepsy. Nature Neuroscience 25, 493-503, 2022).
La provenienza degli autori è la seguente: Department of Stem Cell Biology and Regenerative
Medicine, Eli and Edythe Broad Center for Regenerative Medicine and Stem Cell
Research, Keck School of Medicine, University of Southern California, Los Angeles,
CA (USA); Neurorestoration Center, Keck School of Medicine, University of
Southern California, Los Angeles, CA (USA); Department of Physiology and
Neuroscience, Keck School of Medicine, University of Southern California, Los
Angeles, CA (USA); Division of Molecular Imaging and Neuropathology, NYS
Psychiatric Institute, New York, NY (USA); Department of Biomedical
Engineering, Viterbi School of Engineering, University of Southern California,
Los Angeles, CA (USA); Department of Gerontology, University of Southern
California, Los Angeles, CA (USA); Department of Neurological Surgery, Keck
School of Medicine, University of Southern California, Los Angeles, CA (USA);
Department of Psychiatry, Columbia University, New York, NY (USA); Macedonia
Academy of Sciences and Arts, Skopje (Repubblica di Macedonia).
Non è superfluo ricordare la distinzione elementare tra crisi (seizures),
intese quali temporanee perturbazioni della funzione cerebrale[4], risultanti da un’anomala
ed eccessiva attività neuronica, ed epilessia intesa quale disturbo
cronico caratterizzato da crisi ricorrenti.
Si ricorda che la
classificazione in numerosi tipi e sottotipi, tutti ripartiti nelle tre grandi
categorie di Crisi Generalizzate (bilateralmente simmetriche e senza
inizio focale), Crisi Focali (dette in passato “parziali”) e Crisi
Non Classificabili, fu introdotta per la prima volta da Gastaut nel 1970,
ma poi è stata numerose volte riveduta, corretta e integrata dalla Commissione
sulla Classificazione e Terminologia della International League Against Epilepsy,
basandosi sulle manifestazioni cliniche e sui caratteri EEG peculiari di
ciascuna forma. Convenzionalmente questo ordine nosografico va sotto il nome di
“Classificazione Internazionale”, perché recepito da associazioni neurologiche
di tutto il mondo.
Una classificazione più articolata,
precisa e dettagliata è stata introdotta nel 2010 (Berg et al., 2010) ed
è attualmente preferita dagli specialisti in epilettologia perché, declinandola
in funzione di altri criteri (epoca di esordio, epilessie sindromiche o non
sindromiche, ecc.), consente nella maggior parte dei casi di ricondurre il
singolo paziente a una tipologia definita per andamento e prognosi. In questa
sistematizzazione si annovera la categoria delle “Costellazioni distintive/Sindromi
chirurgiche”, che include: 1) Epilessia del Lobo Temporale mediale con sclerosi
dell’Ippocampo (MTLE con HS); 2) Sindrome di Rasmussen; 3) Crisi Gelastiche[5] per Amartoma dell’Ipotalamo; 4) Emiconvulsione-Emiplegia-Epilessia.
Gli autori dello studio qui
recensito hanno affrontato il problema di verificare nell’uomo la presenza di
una neurogenesi aberrante nell’ippocampo all’origine dell’avvio e della
progressione dei disturbi epilettici, impiegando l’immunofluorescenza
per indagare la formazione ippocampale di volontari sani fungenti da controllo
e per studiare campioni ottenuti da resezioni chirurgiche cerebrali di pazienti
affetti da epilessia del lobo temporale mediale (MTLE). I ricercatori
hanno anche allestito colture di cellule staminali neurali e hanno provveduto
alla registrazione multi-elettrodo ex vivo di fettine di ippocampo.
Con questo approccio, Aswathy Ammothumkandy e colleghi hanno accertato che
una maggiore durata dell’epilessia è associata con un declino acuto nella
produzione di nuove cellule nervose e, al contrario, persistenza della genesi
di nuove cellule dell’astroglia. Dunque, una riduzione significativa nella
neurogenesi adulta accanto a una gliogenesi astrocitaria conservata.
L’osservazione
sperimentale ha consentito di rilevare che i neuroni immaturi nell’epilessia parziale
detta MTLE sono in massima parte inattivi, e non si osservano nei casi con
attività locale simil-epilettica (epileptiform-like). Mentre elementi
cellulari dell’astroglia immatura sono presenti in ogni caso di MTLE, e la loro
localizzazione, così come la loro attività, risulta dipendente da un’attività simil-epilettica.
L’astroglia
immatura, piuttosto che i neuroni neonati, rappresenta dunque un
potenziale target per modulare continuamente l’iperattività neuronica.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle
recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE”
del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Roberto Colonna
BM&L-23 aprile 2022
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presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16
gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e
culturale non-profit.
[1]
Cit. in Adams and Victor’s Principles of Neurology (Ropper, Samuels e Klein),
p. 318, 10th edition, McGraw-Hill 2014.
[2] La distinzione tra forme convulsive
e forme non-convulsive non appartiene ai criteri delle principali
classificazioni, ma è di assoluta importanza clinica.
[3] Cit. in Adams and Victor’s Principles of Neurology, op. cit.,
idem.
John
Hughlings Jackson cominciò a studiare a Londra l’epilessia dal 1860 e scoprì
che non necessariamente le crisi si accompagnavano a perdita della coscienza,
ma potevano essere espressione di iperattività focale di una parte della
corteccia cerebrale con sintomi motori corrispondenti alla somatotopica della
corteccia. Descrisse anche la progressione di sintomi neurologici focali che giungeva
fino alla perdita della coscienza (marcia jacksoniana). Victor Horsley nel 1886
per primo trattò chirurgicamente un paziente con una frattura depressa del capo
che aveva crisi motorie focali: resecò la corteccia circostante la lesione,
ottenendo la scomparsa delle crisi. Il moderno trattamento chirurgico dell’epilessia
comincia negli anni Cinquanta del Novecento a Montreal con Wilder Penfield ed
Herbert Jasper.
[4] Le crisi letteralmente “dirottano”
la fisiologia del cervello, come i dirottatori di un aereo, secondo la figura
cara ai neurologi nordamericani (Gary L. Westbrook).
[5] Sono crisi di risate
incoercibili non causate da alcuno stimolo esterno capace di indurre il riso; si
parla anche di epilessia gelastica da amartoma. Talvolta le crisi di
risa (gelastiche) sono alternate a crisi di pianto (dacristiche).